31 marzo 2009

PD DIXIT







http://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/politica/partito-democratico-28/giovani-del-pd-6/giovani-del-pd-6.html

SERRACCHIANI VS BERLUSCONI


Atroci dolori di pancia nel PD locale dopo l'exploit mediatico di Debora Serracchiani che rischia di oscurare e di mettere all'angolo la lunga fila d'attesa di potenziali leaders (?). Colpo di grazia per Zvech la richiesta di candidatura alle europee partita "dalla base".
Essendo il Cav molto abile e avendo preannunciato che in testa a tutte le circoscrizioni elettorali ci sarà lui (per poi dimettersi, lasciare posto ai secondi che in realtà saranno i primi e via dicendo) mentre Franceschini, molto meno abile, ha spifferato ai quattro venti che non è giusto, che lui non lo farà mai ecc. ecc., c'è la possibilità che nel nord est si assista al duello Berlusconi-Serracchiani. A quel punto sarà interessante vedere la consigliera provinciale udinese sostenere, sulla via di Bruxelles, che il suo partito è governato da inetti.

A DESTRA, A SINISTRA, AL CENTRO


A quello spilungone di un candidato sindaco di Firenze del Pdl, ex portiere di calcio, asso nella manica del Cav/Fin, bisognerà spiegare che il suo neo concittadino onorario è solamente un "compagno che sbaglia".

30 marzo 2009

ASSIEME MA NON PER SEMPRE


La tenuta della fusione FI-AN si misurerà sul territorio. Dalle nostre parti tutti hanno già qualcosa da ridire.

E Polis 2

Qualcuno spieghi a Giustiniani (dal Messaggero Veneto nessuno glielo ha detto?) che solo una dose massiccia di cronaca locale potrebbe indurre i lettori ad abbandonare i prodotti editoriali che li hanno fidelizzati.

E-POLIS

Vedere marcire tanta carta sotto la pioggia è struggente.

29 marzo 2009

COLLINO, SARO, GOTTARDO, MENIA E GLI ALTRI

Grande lavorio alla Camera per salvare il salvabile. E non è detto che chi ha votato contro al Senato non abbia una rivincita. E alla fine si capiranno meglio i nuovi rapporti di forza

Sì al referendum. Sul fine vita questa legge è da Stato etico: parola di Fini

Fini conquista sul campo il diritto alla successione. Strappa ovazioni tali, al congresso del Pdl, che nessuno può competere: non Tremonti, per quanto applaudito, e nemmeno Formigoni che viene sommerso dal tripudio quando grida basta alla Lega, e basta anche coi nominati dall’alto, si torni alle preferenze. Re Silvio sembra aver scelto, sarà Gianfranco l’erede designato. Monta sul palco, bacia il presidente della Camera, gli leva in alto il braccio come si fa col pugile vincitore, gli pone infine la corona sul capo: «Questo anche per spazzare via tutte le malizie sul fatto che noi due non ci vogliamo bene e non abbiamo gli stessi ideali...». E’ la scena madre che verrà ricordata. Già prima, mentre Fini si esibiva dal palco, il maxischermo mostrava Berlusconi capo-claque: si spellava le mani, ostentava il segno okay con le dita, sussurrava parole ammirate a Donna Elisabetta Tulliani, la compagna di Gianfranco... Dopo il discorso, inno di Mameli e brindisi in privato per festeggiare. Chiacchiere di un grande accordo strategico stipulato tra i due.

Se poi nell’intimo si sente minacciato, il Cavaliere lo maschera bene. Perché Fini riconosce in lui il leader del presente, gli accredita un tratto di «lucida follia». Però lo carica di «onori e oneri», come si conviene a un capo. E gli presenta da subito tre cambiali. Lo sollecita a esprimersi sul referendum elettorale, se Bossi darà di matto pazienza. Gli chiede di mettere il Pd alla prova della grande riforma costituzionale. Lo sfida a sconfessare la legge sul testamento biologico, appena approvata al Senato su input papale. Fini è abile, non solo nell’eloquio. Si propone come voce fuori dal coro, perfino minoritario dentro il partito, appassionato al dibattito delle idee che formula in tono riguardoso: «Se posso dare un suggerimento a Berlusconi...». In realtà sa bene di mietere consensi. Ne vedremo delle belle quando il bio-testamento approderà alla Camera: sono una folla i deputati che la pensano come Fini, questa legge «è più da Stato etico che da Stato laico». La laicità è un’altra cosa, prova a obiettare il presidente del Senato Schifani, certo «non può essere omissione di responsabilità». Ma dai boatos di Montecitorio la legge sembra al binario morto. Idem sul referendum, il cuore della base batte per Fini, non c’è nulla di male nel dire sì all’eliminazione dei partiti intermedi, se vincesse l’astensionismo sarebbe solo per «realpolitik» verso la Lega. Con la quale comunque, insiste il presidente della Camera, Berlusconi dovrà prendersi la briga di «discutere perché questo è il peso della democrazia».

Sulle riforme, Fini compie un capolavoro. Vince le resistenze di Berlusconi presentandole come una sfida alla sinistra «per vedere se è riformatrice o nostalgica». Va incontro al premier esaltando la «democrazia che decide, non si limita a discutere», e proprio per rafforzare i poteri del governo gli consiglia di «rilanciare una grande stagione costituente» (D’Alema prontissimo se ne compiace). Commenta con arguzia il ministro Rotondi: «Tecnicamente perfetto, il mio omonimo Gianfranco apre al Pd senza darlo a vedere». Isolato? Nemmeno un po’. Anche nel campo berlusconiano c’è chi sottoscriverebbe, primo tra tutti il capogruppo alla Camera Cicchitto, ponte tra il Cavaliere e il Delfino. Il resto del discorso è declinato al futuro, Fini indica orizzonti per il paese. Un patto tra generazioni che presuppone un’Italia coesa, «con ricadute sulla previdenza anche se non sta a me dirlo...». Un secondo patto di cooperazione tra capitale e lavoro (Cossiga lo accusa di neo-corporativismo). Un terzo patto tra Nord e Sud, che significa «libertà dalle mafie e dal ceto politico dedito al sottopotere». Tutti in piedi ad applaudirlo, piccoli ras locali compresi. E l’immigrazione, «un processo storico da guidare» anche riportando l’educazione civica nelle scuole. Risultato: oggi Berlusconi faticherà a svicolare. Quando tornerà sul palco a mezzogiorno per la replica, qualcosa sulle tre cambiali dovrà pur dire. Con qualche rimpianto. Se avesse indicato tracce di futuro nella relazione introduttiva, forse il congresso avrebbe preso altri binari. Invece Berlusconi ha ceduto a Fini il compito di dettare l’agenda. E solo un grande discorso può restituirgli intero lo scettro.
Ugo Madri per la Stampa

5- a D'Alema


Qualcuno dica all'adorabile Debora che la televisione può essere mortale e che lei è nata sulla rete. Non se ne allontani.

DEBORA SERRACCHIANI DOCET

PARENTI SERPENTI

L'apertura al testamento biologico è venuta da Fini. Saro farà bene a parlarne con Collino.

EULANA POST MORTEM

Chi ha scritto l'instant (!) book sull'affaire Englaro, sta revisionando rapidamente le bozze.

E IL “GRANDE ORECCHIO” DI FERRUCCIO SARO


DI ROBERTO GALULLO

Premessa gridata: non ho le idee chiare su quanto sta accadendo intorno alla figura di Gioacchino Genchi. Mi arrovello, questo sì, lo ammetto: è un vicequestore – quindi un uomo dello Stato – al fedele servizio della Giustizia o un furbacchione che si è fatto prendere la mano dal ricco business delle intercettazioni?
E’ un fido consulente della magistratura o, magari con il tempo, è caduto nella tentazione di usare quei tracciati telefonici come arma di ricatto nei confronti dei potenti?
Non so dare risposte ma parto sempre dalla buona fede e poi – nel momento in cui ne scrivo e dunque in attesa di ciò che la Storia racconterà di lui tra qualche tempo – il paffuto e scaltro vicequestore in aspettativa mi sta simpatico. Sarà compito della magistratura – che su Genchi sta indagando – provare a squarciare il velo dei (mille) dubbi.
Le mie idee confuse – e diffidate cari amici di blog da chi sui giornali scrive di averle chiarissime al riguardo – non mi impediscono di mettere in fila fatti o di riflettere con voi su alcune coincidenze.
Partiamo dai fatti. Ebbene, se vi andate a leggere il decreto con il quale la Procura di Salerno ha disposto il sequestro degli atti Why Not della Procura di Catanzaro, non vi sfuggiranno alcune cose.
Certo, bisogna leggere le carte in profondità, come ho fatto per il Sole-24 Ore del quale mi onoro di essere un inviato.
In due inchieste – del 10 dicembre 2008 e del 25 gennaio 2009 - ho tracciato il quadro di quello che, sinteticamente, il quotidiano ha definito “la nuova P2” (le inchieste sono state riprese a man bassa e ne troverete tracce anche navigando su Internet). In questo comitato di interessi (chiamiamolo così), secondo Luigi De Magistris, operavano e operano personaggi e imprese per i quali il controllo delle intercettazioni telefoniche è solo un tassello di una rete molto ma molto più ampia di controllo dello Stato dal suo interno.
Nel business delle intercettazioni ha gettato l’occhio (anzi l’orecchio) da tempo (e in maniera legittima, per carità, fino a prova contraria) Finmeccanica attraverso la sua società Datamat. E chi era l’uomo che da stava seguendo – secondo il Pm Luigi De Magistris – molto da vicino il caso per l’azienda? Luigi Bonferroni, chiacchieratissimo come massone anche se lui – da ultimo in una lettera inviata al Sole – ha smentito tutto. Bonferroni siede nel cda di Finmeccanica.
Ma, per farla breve, di questo “Grande Occhio e Grande Orecchio” del “Grande Fratello” che vive (e vuole vivere) all’interno dello Stato, fanno parte anche alcuni uomini e aziende che, nell’ordine, lavorano o lavoreranno proprio per conto dello Stato nella digitalizzazione degli archivi informatici della Giustizia, della Guardia di Finanza, delle pubbliche amministrazioni, delle Procure e delle Direzioni antimafia. Molti di loro sono in odore di massoneria deviata. Alcune società addirittura infiltrate da uomini – poi allontanati – della ‘ndrangheta che, come sanno i cultori della materia, in Calabria siedono spesso e volentieri nelle logge massoniche coperte. Anzi: copertissime.
Come Luigi De Magistris ha fatto mettere nero su bianco ai colleghi di Salerno, egli stava lavorando su una rete inconfessabile e inquietante di potere parallelo all’interno dello Stato. Insomma: la nuova P2. Se questo fosse vero – e i fatti che ho messo in fila nelle due inchieste sono lì a disposizione di tutti, anche per essere smentiti, ma con altri fatti, non a chiacchiere - si capisce dunque perché proprio sulle intercettazioni, il primo e più importante tassello del “grande fratello”, tantissimi politici e il premier Silvio Berlusconi, che della vecchia P2 aveva la tessera n.1816, abbiano fatto e facciano una battaglia senza precedenti: non solo sull’uso ma anche sul ricorso esterno ai consulenti.
Con Sua Emittenza stanno – si badi bene - parti importanti del Governo e dell’opposizione (opposizione? Bah, non me ne ero mai accorto!). Di qui al nuovo testo sulle intercettazioni telefoniche (che tutte le Procure difendono, attaccando il provvedimento governativo) il passo è stato breve.
Ma perché proprio ora? Non lo sapevano da tempo i politici che Genchi (e non solo lui) lavora come consulente per le Procure (molte, in vero, non lo hanno mai amato troppo e questo va detto e ricordato). Non lo sapevano che l’uso dei file e della loro archiviazione o memoria andava regolamentato? Già, perché proprio ora…
E allora veniamo alle riflessioni, sulla scorta di una storia che – chissà perché – alcuni raccontano solo tra i corridoi delle stanze del potere.
Bene. La storia e questa e parte da una premessa: Genchi avrebbe (sottolineo avrebbe) costituito una copia di tutti i file analizzati ed elaborati negli anni. In Italia o all’estero non si sa. Certo è che non sarebbe tecnicamente impossibile. Ebbene, in questi file – copiati a propria tutela e dunque per autodifesa, secondo i benevoli, copiati per essere sempre pronto a ricattare, secondo i maligni – Genchi avrebbe copia, in particolare, dei tracciati telefonici intercorsi proprio tra il premier Silvio Berlusconi, l’ex ministro dell’Interno Beppe Pisanu, alcuni magistrati antimafia, il Procuratore Antimafia Piero Grasso e Totò “vasa vasa” Cuffaro. Non necessariamente in questo ordine, anzi.
E perché sarebbero così importanti questi tracciati? Perché – secondo molti – conterrebbero la prova-provata che Cuffaro – sotto inchiesta per i suoi rapporti in odore di mafia – veniva costantemente aggiornato sullo stato dell’arte da Berlusconi. Fantasie? Non lo so, me lo auguro, ma per certo so che il 2 maggio 2008 il Gup di Palermo Fabio Licata ordinò la distruzione di tutte le intercettazioni dei colloqui tra Berlusconi e Cuffaro avvenute tra il 2003 e il 2004. Compresa quella in cui il 10 gennaio 2004 Berlusconi tranquillizzava Cuffaro sulle indagini che si stavano abbattendo su di lui. Ne era certo, avendone parlato con l’allora ministro dell’Interno Beppe Pisanu (che però nega di aver mai parlato con Berlusconi di queste vicende giudiziarie e che nell’attuale legislatura è diventato presidente della Commissione parlamentare antimafia). Nella stessa telefonata Cuffaro avverte Berlsuconi che c’è “qualche magistrato che fa le bizze”.
Un’altra cosa che so per certo è che alla distruzione delle bobine erano favorevoli i Pm Michele Prestipino, Nino Di Matteo, Maurizio De Lucia e Giuseppe Pignatone. Contro la distruzione si schierarono il Pm Antonio Ingroia, il collega Domenico Gozzo e il capo della Repubblica di Palermo Francesco Messineo che aveva preso il posto di…Di chi? Ma di Piero Grasso, nominato l’11 ottobre 2005 a capo della Procura nazionale antimafia, dopo essere stato a Palermo tra il 2000 e il 2004. Di Piero Grasso compaiono (e scompaiono) tracce nei tabulati di Genchi legati alla vicenda Why Not.
Ora, proviamo a farci questa domanda a voce alta: ma se fosse vero che Berlusconi parlava delle inchieste con Cuffaro (e di almeno una telefonata abbiamo certezza), se fosse vero che Berlusconi apprendeva gli aggiornamenti (che girava a Cuffaro) da Beppe Pisanu, chi avvertiva Pisanu del procedere della situazione? La risposta potrebbe essere facile ma di facile in questa storia non c’è nulla e le apparenze sono fatte apposta per ingannare.
Pagherei oro per conoscere il contenuto di quelle telefonate (andate perdute per sempre?) e credo che non sarei l’unico. Il problema è che il mio oro sono pochi euro, mentre altri hanno a disposizione patrimoni inestimabili. Pazienza: mi rassegnerò nel nome della democrazia (sconfitta).
Certo, infine, è che Gioacchino Genchi negli ultimi tempi ha fatto (a caso?) di tutto per tranquillizzare Berlusconi, gridando ai 4 venti che lui del premier non ha mai seguito un solo file sui tracciati telefonici. E di Grasso? E dell’ex ministro Pisanu il cui figlio è stato assunto in una società di Antonio Saladino, principale indagato dell’inchiesta Why Not avocata a De Magistris? E di altri procuratori antimafia? Chi vivrà (forse) vedrà e magari sarebbe bello che lo stesso Genchi rispondesse alle riflessioni che – insieme a voi amici di blog – sto facendo a voce alta.
Certo, ancora, è che giornali e giornalisti in questa vicenda si stanno schierando sempre più, millantando certezze, aizzando gli animi, servendo padroni (non i lettori, però, no) e perdendo di vista le notizie. Anche quelle che arrivano lontano da Roma o da Palermo.
Come quella che arriva da Trieste, splendida città capoluogo delle serena regione Friuli-Venezia Giulia. Serena? Mica tanto, leggete qui.
Il senatore Ferruccio Saro, vecchia volpe politica del Pdl, il 3 e il 6 febbraio ha inviato due interrogazioni parlamentari urgenti al ministro della Giustizia Angelino Alfano per sapere se era a conoscenza del fatto che a Trieste c’è un “Grande Fratello”, ubicato presso una struttura del Corpo forestale, in grado di intercettare e registrare (per i dettagli vi rimando alle interrogazioni che troverete nel sito www.senato.it alla voce “Saro” oppure alla puntata della mia trasmissione “Un abuso al giorno” del 5 febbraio, che potere ascoltare e scaricare su www.radio24.it ).
Di più, anzi. Saro chiede addirittura di sapere se è vero che questo “centro di ascolto” collocato a Pagnacco (in provincia di Udine, che finora conoscevo solo perché il 6 luglio 1942 vi morì il “prefetto di ferro” Cesare Mori), abbia fatto uso di microspie, Gps, telecamere e microcamere e in quali procedimenti siano stati utilizzati.
E’ bene ricordare che essendo il Friuli-Venezia Giulia una Regione a statuto speciale, il Corpo Forestale dipende dalla Regione stessa e non dallo Stato e che, avendo lì il Corpo compiti anche di Polizia giudiziaria, le Procure possono assegnare e delegare intercettazioni (soprattutto in materia ambientale) al Corpo stesso. Questo accade anche in Sicilia dove però - me lo ha confermato l’assessore regionale all’Agricoltura e foreste Giovanni La Via - il Corpo forestale non ha nessun centro di ascolto autonomo ma fa riferimento, per locali e strutture, alle Procure.
Ora – mentre l’assessorato regionale della Regione Friuli-Venezia Giulia ha avviato un’inchiesta interna - non resta che attendere la risposta ufficiale del ministro della Giustizia Niccolò Ghedini. Pardon, scusate, volevo scrivere Angelino Alfano.
Succede che alle volte mi confonda e pensi che in realtà la materia delle intercettazioni telefoniche – che entrano nella vita di tutti, che andrebbero regolamentate e che rappresentano solo un tassello, anche se il più importante, degli strumenti che attentano alla privacy e alla vita di uno Stato – è troppo importante per lasciarla regolamentare ai politici. Soprattutto ai politici-ombra o penombra (a destra, al centro e a sinistra).

Roberto Galullo (roberto.galullo@ilsole24ore.com)
Fonte: http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com
Link: http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2009/02/i-tabulati-di-genchi-la-nuova-p2-le-telefonate-distrutte-berlusconicuffaro-e-il-grande-orecchio-friu.html

SARO 3

Il presidente della regione è piuttosto soddisfatto.

SARO 2

Se Schifani non ha scherzato forse per Saro sarà necessario ridiscutere la sua deriva laicista-radicale. Non sia mai che l' "operazione Englaro", così ben congegnata, non gli si rivolti contro.
Isidoro Gottardo al Congresso era in prima fila.

26 marzo 2009

SARO

Comunque ha vinto.

SARO HA VINTO O PERSO?

Testamento biologico, ancora scontro in aula. E stavolta, il duello è su un emendamento (approvato) che limita, e di molto, la dichiarazione anticipata di trattamento da parte del paziente. La Dat, infatti, non sarà più vincolante. L'obbligatorietà sparisce dal provvedimento con un emendamento a prima firma Antonio Fosson (Udc), approvato dall'aula con 136 voti favorevoli e 116 contrari.

Le Dat erano state rese vincolanti dopo una dura battaglia in Commissione, che aveva sollevato non poche polemiche nella maggioranza. "Ci fermiamo alla non obbligatorietà - sottolinea Gaetano Quagliariello, vice presidente dei senatori Pdl - per non rendere questa legge soggetta a interpretazioni. Vogliamo lasciare al medico un margine per poter intervenire a fronte di nuove evidenze scientifiche".

Evidente il malcontento dell'opposizione, a partire dal senatore Pd Ignazio Marino che punta il dito contro la proposta di modifica targata Udc. "E' una presa in giro per i cittadini - incalza anche Felice Casson (Pd) - Le loro dichiarazioni anticipate diventano carta straccia".

Anche la capogruppo del Pd Anna Finocchiaro parla di "finzione": "Agli italiani - dice rivolgendosi al Pdl - avete spiegato che questa era una legge per poter scrivere il proprio testamento biologico, ora gli dite che invece non contano più niente. Mi pare che ormai il contrasto con l'art. 2 della Costituzione sia solare e il ricorso ai giudici e alla Consulta sarà inevitabile".

Durata da 5 a 3 anni. A Palazzo Madama arriva una decisa marcia indietro anche sulla durata della Dat. Sarà di 3 anni, e non più di 5, come invece era stato deciso dalla Commissione Sanità.

25 marzo 2009

F 16 on the sky


Un caccia americano, in difficoltà per una probabile avaria al motore subito dopo il decollo dalla base di Aviano, ha sganciato i due serbatoi sui cieli di Tamai e Brugnera ed è poi rientrato alla base. Uno dei due serbatoi, del peso stimato di circa mezza tonnellata, è caduto su una casa colonica del principe Guecello di Porcia e Brugnera, sfondando il tetto e distruggendo una utilitaria che era ricoverata in un’autorimessa. Il secondo è caduto tra due abitazioni, nei pressi della strada di accesso. Per fortuna non vi sono stati feriti, ma alcuni bimbi sono stati sfiorati dal secondo proietto. L’aereo, che era decollato poco dopo le 15.20, è atterrato ad Aviano senza ulteriori problemi.
MessaggeroVeneto

19 marzo 2009

11 marzo 2009

CORTE DEI MIRACOLI


Esercito mobilitato per portare in piazza (San Pietro) un poveraccio pieno di sondini. Come dire, la risposta vaticana al caso Eluana.
Sono solo Pubbliche Relazioni.

IL PIANTO DI E POLIS



Che cosa succede nella redazione di un giornale quando quest'ultimo pubblica un cosiddetto scoop? Secondo l'E Polis glocale i soggetti chiamati in causa dovrebbero telefonare il giorno dopo al direttore e raccontare la propria verità fornendo così il materiale per altre paginate, altri scoop e così via.
Qualcuno spieghi a quei bravi ragazzi che non funziona così soprattutto se non ci si chiama, tanto per fare degli esempi, de Bortoli o Mieli o Anselmi e se la testata non viene carinamente chiamata, ad esempio, FT o qualcosa del genere. Come dire che quel che scrive E Polis non è ancora tenuto in grande considerazione dalla cosiddetta opinione pubblica e dagli opinion leaders le cui segreterie, se proprio devono, stuzzicano proprio l'editore dal quale potrebbe anche scappare l'invito per un pranzetto sushi, o una pizza o un risotto alla cantonese. Nel centro commerciale più grande della regione. E non è poco.

OBAMA COME LA LEGA NORD

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=5696&ID_sezione=&sezione=

10 marzo 2009

COSCIONI VS ENGLARO OVVERO COME DOVE NON POTE' SARAMAGO POTE' SARO


Scenderà da Udine il fior fiore della scienza e della politica per partecipare a Roma, nella sede del Senato (dove votano e si arrabattono anche i regionali, in ordine alfabetico: Blazina Tamara (Pd), Camber Giulio (Pdl), Collino Giovanni (Pdl), Pegorer Carlo (Pd). Pertoldi Flavio (Pd), Pittoni Mario (Lnp), Saro Giuseppe (Pdl) ), alla presentazione della Fondazione Eluana, meraviglioso marchingegno che sembra fatto apposta per ricucire quelle anime disperse del Psi che dopo la disfatta craxiana non riuscivano a trovare pace e sopravvivevano nei grigi anfratti della politica di provincia.
Rulli di tamburo quindi per la ricomposizione dei vecchi (anagraficamente) ma astutissimi ex psi di casa nostra la cui influenza potrebbe estendersi, come un virus (!), al resto d'Italia dando luogo a un movimento che sarebbe musica per le orecchie del nostalgico Berlusconi.

Sul testamento biologico Berlusconi si è dimostrato più liberale del suo amico della prima ora Pannella (è istruttivo ricordare quando, all'annuncio della famosa "discesa in campo", il Primo ad esultare fu proprio lo scafato leader radicale che si vide aperta la succulenta possibilità di esibire i suoi cartelli protestatari anche sulle reti del biscione....) che non può però consentire ora di vedersi sfilare da sotto il naso la progenitura di tutto quell'ambaradam legato alle spine da staccare e ai sondini da rinsecchire culminato nella Fondazione Coscioni che, si badi bene, coerentemente è stata in prima fila nel raccogliere firme e organizzare manifestazioni a favore della corrente di pensiero dei vecchi fratelli Englaro.

Potrebbe infatti succedere che lo scafatissimo Radicale debba congelare la Fondazione di famiglia superato a sinistra dall'ancor più navigato Saro Giuseppe detto Ferruccio, apparentemente oscuro senatore friulano, grande stratega dell' "operazione Englaro" che sta mettendo una seria ipoteca sulla paternità del testamento biologico e della relativa legge.
E questo giustifica l'impasse di oggi nel quale si sono incagliati soprattutto i piddini, a rischio di un ulteriore clamorosa sberla dopo il fallimento dell' esilarante"operazione Ferruccio de Bortoli" che potrebbe da qui a poco planare sulla ben più rassicurante poltrona di Repubblica.

Il nodo è sempre il solito: l'alimentazione e l'idratazione artificiali. E' questo lo scoglio sui cui si infrange il dialogo tra maggioranza e opposizione sul testamento biologico. Ancora oggi, quando il ddl Calabrò sta entrando nella fase calda della votazione. Con il governo che ha dato parere favorevole al testo. E con il Pd che si spacca sull'articolo 1 che prevede il consenso informato.

In mattinata il comitato di confronto "informale" voluto dal presidente della commissione Sanità del Senato Antonio Tomassini, certifica lo stallo. Anche se lo stesso Tomassini si dice ottimista: "Molti ponti di condivisione siano stati gettati. Non tutti i punti sono condivisibili, ma ciò che conta è che si agisca, sulle divisioni, secondo le prassi democratiche".

La maggioranza chiede all'opposizione di rispettare i tempi della votazione e di non mettere in campo strategie ostruzionistiche, in cambio della riformulazione da parte del relatore del testo, Raffaele Calabro', del subemendamento all'articolo 1, inserendo la subordinazione dell'attività medica al consenso informato. In serata, però, proprio l'approvazione a larga maggioranza dell'articolo 1 vede il Pd spaccarsi. Con sei senatori che hanno votato contro e tre astenuti. L'astensione più evidente è quella della capogruppo Pd Dorina Bianchi seguita dai colleghi Bosone e Gustavino.

Chi non ci sta sono i radicali che hanno lanciato l'iniziativa di "ostruzionismo partecipativo" e l'hanno chiamata "Senatore per due ore". L'obiettivo è quello di aprire le porte del Senato ai cittadini e consentire loro di dire la propria opinione scrivendo gli emendamenti al ddl sul testamento biologico, che verranno poi presentati dai senatori radicali per l'Aula. Chiunque voglia quindi scrivere un suo emendamento al ddl Calabrò sul testamento biologico potrà farlo su internet, andando all'indirizzo www.lucacoscioni.it. "Da quando abbiamo aperto la pagina - continuano i senatori radicali eletti nelle liste del Pd, Marco Perduca e Donatella Poretti - sono arrivati centinaia di emendamenti, forumulati in modo chiaro e ben fatto. Alcuni di questi li abbiamo già utilizzati nei subemendamenti che abbiamo depositato la settimana scorsa".

Nel frattempo a Palazzo Madama lucidano l'argenteria.

9 marzo 2009

Gli asili di Honsell e le grane del MV


Sarebbe bello trovarlo, ma E Polis Friuli è un quotidiano fantasma e, in quanto tale, invisibile o, meglio ancora, introvabile. Vero paradosso per un free press la cui priorità dovrebbe essere quella di garantirsi una diffusione capillare e poi, ma solo poi, quando di trovarselo tra le mani e i piedi non se ne può proprio più, mettere mano alla redazione e ai cosiddetti "contenuti" che non siano strettamente di servizio.
Da queste parti la pensano diversamente tant'è che ci sono lettori potenziali vaganti tra bar e osterie alla ricerca dello scoop del giorno di cui si mormora ma nessun sa. E sì che a chi a Maria Bambina ci andava all'asilo e giocava nel ricreatorio del Redentore, sapere che il refettorio è passato da suor Francesca a Fulvio Honsell farebbe una certa impressione. Se poi oltre che finire nelle sgrinfie dell'Università (sarà il Messaggero Veneto a pubblicare una paginata di risposta con l'elenco di tutti i beni mobili e immobili dell'esimia istituzione?) l'asilo è stato anche oggetto di qualche artifizio immobiliare, qualche colpo di qua e qualche altro di là per ripianare conti e volumetrie, lo scoop e bello e fatto. E tutti a chiedersi: "E perchè il Messaggero non l'ha mai detto? e perchè mai non l'ha mai scritto? e chi è questo Folisi? vuoi vedere che Cerno è in ferie a Ibiza..". Insomma, un chicchiericcio fastidioso proprio adesso che è appena stato De Benedetti in persona a rassicurare i suoi dicendo che, a lui, degli imprenditori che si mettono il distintivo di editori non gliene importa un fico secco lasciando intendere che per lui, editore "puro", sono destinati alla bancarotta e così via.
Però l'"Arte della Guerra" suggerisce agli aggressori che le migliori cartucce, per annientare il nemico, devono essere sparate al momento giusto. Come dire che anticipare il fuoco di fila quando davanti non c'è praticamente nessuno equivale a consumare quelle energie che diventeranno indispensabili quando il gioco si farà duro e si vedrà chi sarà così duro da continuare a giocare.
A meno che.... a meno che anche in questo caso non sia scattata l'operazione Cavallo di Troia2 che potrebbe consistere nel far dire a l'uno quel che l'altro non può con buona pace di chi ecumenicamente osserva, predispone e prudentemente tace.
Che colpo di vita per la periferia dell'impero! Che brividi! Che scoop!

Englaro for President


Il cerchio si sta lentamente stringendo. Sulla legge sul testamento biologico Berlusconi lascia ai suoi libertà di coscienza e di voto, Sandro Bondi chiama Renzo Tondo e lo rassicura (nessuno gli vuole male e il fine ultimo è nobile), Beppino Englaro (come sta la signora? Si dice, ahinoi! piuttosto male) rimane con determinazione in prima linea (tiene la scena sul media), Ferruccio Saro dice che lo vorrebbe nel Pdl, il giovane, sveglio e lungimirante candidato sindaco di Firenze non vuole che la sua città (uno dei simboli della sinistra) gli conferisca la cittadinanza onoraria.
Quando il battagliero Englaro sarà candidato nel Pdl frantumerà ulteriormente la sinistra. Per chi voteranno i radicali e tutto quel mondo laico e di sinistra per i quale il sondino era più malefico di Veltroni? Non solo. Ci sarà anche una scrematura nel Pdl che potrà togliersi di mezzo/ridimensionare quegli integralisti (Ferrara, Formigoni ecc.) che tanti danni gli hanno fatto e che ancora insidiano il Potere. Oppure, meglio ancora, se li terranno stretti ma un po' alla larga (è una delle contraddizioni della politica) perchè i voti son comunque voti.
E Polis farà un'inchiesta e scoprirà che l'80 per cento degli elettori sostiene che è più importante la battaglia civile dello schieramento politico.
Chapeau all'Architetto.

6 marzo 2009

FESTA DELLA DONNA


Inserzione pubblicitaria sul Messaggero Veneto di oggi 6 marzo 2009, pag. 14.

“L’inizio della fine è stato il ’68: ha distrutto l’estetica con una finta controcultura politically correct"



«Un anno fa sono caduto, spezzandomi tutte le vertebre della schiena. I dottori mi avevano dato per morto, ma eccomi qua». Gli occhi chiaro-cangiante di Harold Bloom sono pieni di tristezza mista a pudore mentre cerca di giustificare quel bastone, ormai inseparabile, cui s'aggrappa per sostenere il peso degli anni e le angherie di un fisico che non vuol saperne di rincorrere i ritmi ancora frenetici della sua straordinaria mente.



«La cosa che mi duole di più oggi è non poter viaggiare»
, spiega l'autore de "Il canone occidentale", "L'angoscia dell'influenza" e di altri 30 libri che hanno rivoluzionato la storia della critica letteraria mondiale.

«Vorrei tanto rivedere Bologna e Barcellona, due delle mie città preferite, ma se prendessi l'aereo morirei in volo. Avrei dovuto ascoltare mia moglie Jeanne e riguardarmi da giovane. Ho condotto una vita dissipata, bevendo, fumando sigari e trascurando l'esercizio fisico».

Anche adesso Bloom non rinuncia a qualche bicchierino di Sherry d'annata, mentre parla, seduto nel luminoso appartamento di Manhattan che usa nei weekend, quando gli impegni alla Yale University, dov'è Sterling Professore di Discipline Classiche, glielo consentono. Nel grande pied-à-terre pieno di quadri e sculture di Dina Melicov, la suocera artista, il 78enne Bloom continua a tenere banco come ai vecchi tempi, quando bastava una sua recensione per creare o distruggere una carriera.

Appena la giovane docente di Letteratura russa si accomiata, bussa alla porta il tesoriere del premio Nobel, in visita da Stoccolma insieme alla giovane e bella figlia, anche lei una fan sfegatata di quello che le enciclopedie descrivono come «il più influente critico letterario statunitense».

Il «luminare della cultura occidentale» che nell'era di Internet si ostina a scrivere con la penna stilografica «perché - spiega -, un antico tremore alle mani mi impedisce di usare la tastiera. Però la mia mente è più sveglia che mai, grazie ai geni. I miei genitori erano poverissimi ebrei semianalfabeti provenienti dagli shtetl dell'Europa Orientale. Però ho avuto antenati studiosi di Talmud: una disciplina che richiede una formidabile memoria».

Come la sua, tanto leggendaria che M.H. Abrams, il celebre studioso di Romanticismo suo mentore, lo definì «lo studente più dotato che abbia mai avuto», e «l'unico capace di leggere un libro con la stessa velocità con cui lo si sfoglia».

La sua cultura enciclopedica? «Di prima mano. Ho sempre preferito la lingua originale alle traduzioni. Leggo in greco ed ebraico - antico e moderno - latino, yiddish, inglese, francese, spagnolo, tedesco, portoghese ed italiano». Proprio l'Italia, tiene a precisare, gli ha regalato (insieme alla Svezia) l'unica versione «degna» del Canone.

«Gli editori italiani e svedesi sono stati gli unici ad assecondarmi, quando i loro omologhi in America mi costrinsero, contro la mia volontà, a stilare quell'assurda hit parade, additando contratti firmati».

L'Italia, per Bloom, resta una delle culle letterarie più vitali. «Non solo Dante, Petrarca e Boccaccio - spiega -. Ma Manzoni, uno dei più grandi romanzieri al mondo. Pirandello, più innovativo di Cechov e Beckett. Campana, che poteva diventare il Walt Whitman italiano se non fosse morto così giovane. E poi il grandissimo Leopardi, un poeta al livello di Keats, Shelley e Wordsworth che ho incluso nel mio nuovo libro "Living Labyrinth. Literature and Influence", in uscita ad ottobre».

Se potesse tornare indietro, Bloom non compilerebbe più la famigerata lista. «La odio e non ha ragion d'essere - teorizza -. Il suo unico effetto è stato aumentare il numero di gente incolta che legge l'elenco ma non il libro. Come, del resto, fanno da sempre i critici letterari».

All'indomani dell'uscita del Canone, tradotto in 45 lingue e bestseller in Paesi come Brasile, Grecia, Polonia e Albania, Bloom è diventato un'icona culturale per milioni di giovani in tutto il mondo.

«Mi tempestano di telefonate ed email da Turchia, Iran, Corea del Sud, Egitto, Bulgaria, Australia - racconta -. Mi considerano il loro faro, mi implorano di scendere ancora in campo. Ma io sono stanco. Ho speso tutte le mie battaglie e ciò che dovevo dire l'ho detto: se un lavoro non possiede splendore estetico, forza cognitiva e autentica originalità, non vale la pena leggerlo. La letteratura è un'epifania individuale e non deve avere alcuna valenza di riscatto socio-politico. Questo approccio estetico alla letteratura mi ha trasformato in un paria su entrambe le sponde dell'Atlantico. Ho dichiarato guerra alle tesi femministe, marxiste e post-strutturaliste che da anni spadroneggiano nelle università, non solo in America».

L'inizio della fine, per Bloom, è stato il '68: «Ha distrutto l'estetica, introducendo una finta controcultura politically correct in base alla quale basta essere un'esquimese lesbica per valere di più come scrittore».

Mentre il resto dei critici li buttava alle ortiche in quanto «elitari e non rappresentativi delle altre culture», Bloom ha riesumato i cosiddetti «maschi europei bianchi e defunti». Beccandosi l'accusa di razzismo, elitismo e sessismo. «I miei autori preferiti restano Dante, Shakespeare, Cervantes, Faulkner, Omero, Proust e Wilde - annuncia in tono di sfida -, perché espandono la nostra coscienza senza deformarla. E toccano l'individuo, senza pretese di cambiare il mondo».

Tra gli «intramontabili», Bloom annovera i grandi poeti yiddish Jacob Glatshteyn and Moyshe-Leyb Halpern ma non il premio Nobel Isaac Bashevis Singer. «Un autore mediocre. Al suo posto meritavano di vincere Chaim Grade, artefice dello splendido "Yeshiva" e Israel Joshua Singer, fratello maggiore ben più talentuoso di Bashevis che ci ha lasciato il bellissimo "I Fratelli Ashkenazi"».

Le sue crociate anti Nobel, d'altronde, sono ben note. «L'hanno dato ad ogni idiota di quinta categoria - si lamenta -, da Doris Lessing, che ha scritto un solo libro decente quarant'anni fa, e oggi firma fantascienza femminista, a Jean-Marie Gustave Le Clézio, illeggibile, a Dario Fo, semplicemente ridicolo».

Persino Toni Morrison non sarebbe degna del premio: «Siamo vecchi amici e le voglio bene. Ma dopo "Amatissima" ha scritto solo supermarket fiction, perseguendo una crociata socio-politica. Eppure nell'era di Obama è obsoleto sostenere che la pigmentazione, l'orientamento sessuale o l'etnia di uno scrittore contino».

Gli ultimi Nobel meritati? «Harold Pinter, una voce autentica, anche se discepolo di Beckett. E José Saramago, con cui ho litigato perché è uno stalinista che si è fatto espellere da Israele accusandolo di aver creato una nuova Auschwitz a Gaza».

Tra i contemporanei Bloom detesta J.K. Rowling, Stephen King e Adrienne Rich («spazzatura») e ama Cormac McCarthy («"Meridiano di sangue" è un libro straordinario»), Philip Roth («"Pastorale Americana" e "Il teatro di Sabbath" sono capolavori»), Thomas Pynchon («"L'incanto del lotto 49" è eterno»), e Don DeLillo («"Underworld" è eccellente, ma la prima parte è meglio della seconda »). Più tiepido nei confronti di Salinger: «"Il giovane Holden" continua a commuovere, ma tra 30 anni sarà demodé»

Troppo severo? «La critica letteraria non può essere impersonale», ribatte. «Al contrario di T.S. Eliot, penso che debba essere personale, appassionata e viscerale. Ma socializzare con gli autori che recensisci è un errore. Meglio conoscerli dalle loro opere». «Se non parliamo noi male dei morti, chi lo farà?», aggiunge con un sorriso birbone, passando a rassegna alcuni grandi autori scomparsi di recente.

Da Updike («uno scrittore minore con un grande stile») a Mailer («uomo generoso e appassionato ma la sua opera migliore è stata, appunto, Norman Mailer») e da Bellow («un vero pazzo, una persona per molti versi impossibile») a David Foster Wallace («molto dotato ma ogni suo libro era incompleto »).

L'unico nome che gli fa, seppur momentaneamente, perdere la flemma, è quello di Naomi Wolf, che nel 2004 lo accusò di molestie sessuali a Yale, dieci anni prima. «L'ho ribattezzata la figlia di Dracula perché suo padre e il più noto esperto di Bram Stoker. È un mostro, una barzelletta internazionale, una bugiarda patologica al soldo dei politically correct intenti a distruggermi. Non è mai stata una mia studentessa».

A difenderlo, all'indomani dello scandalo, fu l'ex discepola Camille Paglia (scoperta da Bloom, al quale deve il lancio della carriera), con un articolo di fuoco su Salon, dove fece a pezzi la guru femminista. «Camille ed io siamo rimasti molto amici - spiega -. Lei mi chiama papà».

Tra i suoi tanti fan Bloom annovera anche papa Wojtyla. «Amici comuni mi dissero che aveva letto e apprezzato tutti i miei libri e m'offriva un'udienza, se mi fossi recato a Roma. Rifiutai». Il motivo non era di natura personale. «Cristianità è sinonimo di antisemitismo, come dimostrano tutti i testi chiave del Nuovo Testamento, a partire dal Vangelo di Giovanni - dice -. E come dimostra l'atteggiamento di Benedetto XVI nei confronti del vescovo negazionista Richard Williamson».

Il suo rapporto con Dio? «Non posso capire un Dio potente ed onnisciente che abbia permesso Auschwitz e la schizofrenia», replica Bloom, il cui primogenito, Daniel Jacob, è affetto da una grave forma di schizofrenia sin dalla nascita.

Alessandra Farkas per il "Corriere della Sera"