30 gennaio 2009

LUANA, CHE SGOMENTO LA VITA DECISA NEI TRIBUNALI


I progressi della scienza ci portano ad affrontare problemi etici fino a pochi anni fa impensabili. Se avessi detto a mio nonno, nato nell’Ottocento e sopravvissuto a due guerre mondiali, che avrebbe potuto decidere, con l’aiuto di un atto notarile, in che modo morire penso onestamente che sarebbe inorridito. Come si fa a decidere prima una cosa di una gravità e di una complessità del genere? Certo, nessun essere umano sano di mente augura a se stesso e ai suoi cari di vivere in stato di incoscienza per anni o di dipendere dal funzionamento di una macchina. Ma una cosa è avere un timore, un’altra affrontare la realtà, quando si presenta.
Se capitasse a me, ad esempio, magari in quel momento vedrò lo sguardo della persona che amo e capirò che voglio continuare a vederlo o forse proverò curiosità per questa nuova fase della mia vita che si sta aprendo, un po’ come se visitassi una terra inesplorata. Oppure sarò sola, disperata, nessuno risponderà alla mia tristezza allora, certo, vorrò porre fine ai miei giorni. Ma come faccio a saperlo adesso, a decidere in un momento così lontano e così diverso? E se poi questa mia scelta autorizzasse qualcun altro a decidere per me? Contrariamente a quanto ci viene continuamente ripetuto, io penso che sappiamo ancora pochissimo sulla vita, su quello che c’è nella nostra mente, nel nostro corpo e che questo senso di ignoranza debba condurre al massimo timore, al massimo rispetto.
Nessuno di noi sa cosa provi veramente Eluana, nella sua attuale condizione, come non sappiamo perché le sia successo questo incidente, che senso abbia nella sua vita e in quella dei suoi genitori né perché il suo corpo continui ad essere così straordinariamente vitale. Questa vicenda provoca in me un senso di dolorosa compassione. Compassione per la sofferenza dei genitori, per quanto abbia dovuto soffrire - e per quanto ancora avrà da soffrire - la loro figlia; compassione per le suore che, per tanti anni e con tanto amore, si sono prese cura di lei. Ma oltre alla compassione, provo anche un senso di gelo e di sgomento perché l’idea che un tribunale non penale possa decidere della vita di un essere umano è qualcosa che esula dalla mia visione del mondo.
Sono profondamente contraria all’accanimento terapeutico, quando ci sono delle malattie devastanti e progressive, ma un tumore o una malattia metabolica sono ben diverse da uno stato vegetativo. Una delle cose che più mi sorprende, di questi nostri tempi, è la grande quantità di certezze che ci vengono proposte come verità assolute. L’uomo, ci viene ripetuto da più parti, ha una sola dimensione - quella razionale - e tramite questa razionalità è in grado di determinare ogni istante della sua vita in modo che l’imprevisto, quest’ospite scomodo e inquietante, scompaia definitivamente dall’orizzonte.
La vita che ci preparano i devoti della razionalità è una vita di estrema tristezza, dominata dall’ansia e dalla paura, una vita segnata dal continuo ricorso ai tribunali per avere una qualche certezza di essere nel giusto. Una vita, insomma, in cui l’uomo non è che una cosa tra le cose. Se vado in un negozio, infatti, non compro certo un oggetto guasto o scaduto e, se per caso mi capita di farlo, lo porto indietro, chiedendo un rimborso. L’essere cosa tra le cose ci porta a chiedere la perfezione, a bandire dal nostro orizzonte l’imprevisto della malattia, del dolore, lo spettro della morte. Sgombrato infatti il campo dalla necessità di interrogarsi sul mistero che avvolge le cose - perché il mistero non esiste, in quanto non provabile scientificamente - non rimane che appellarsi alla legge degli uomini, invocare una sentenza che confermi la correttezza del nostro sentire. Il tribunale è diventato il cuore attorno a cui ruota la nostra civiltà. La vita è, alla fine, un’avventura amara e, siccome non abbiamo chiesto di venire al mondo e non ne capiamo il senso, abbiamo il diritto di essere risarciti fino alle più piccole contrarietà che ci capitano.
Ricordo il caso di una ragazza che, avendo trovato un insetto in un pacchetto di patatine fritte, ha fatto causa alla ditta produttrice chiedendo i danni biologici per lo spavento provocato, danni che le sono stati peraltro riconosciuti. O casi di genitori che hanno denunciato un medico per un figlio nato con difetto di deambulazione. Ma è davvero questo il senso della nostra vita? Vivere accerchiati da pensieri ostili, da potenziali nemici, rivendicando continui danni subiti? Lo spirito del nostro tempo è quello del risentimento. Ma il risentimento è come una potente erba infestante, ha radici profonde, invasive e con il suo espandersi riduce fino ad eliminare la possibilità di provare un sentimento.
Si vuol far credere che il mistero - e dunque la domanda sulla trascendenza - sia un obsoleto retaggio del mondo clericale, mentre forse bisognerebbe dire che riguarda sempre e comunque ogni uomo, per la complessità della sua natura, per la presenza delle tenebre, per l’assoluta certezza della morte. Se contemplassimo con timore - altra grande parola scomparsa dal nostro orizzonte - questo mistero, forse saremmo costretti a interrogarci, a metterci in cammino, a entrare nell’idea che ogni cosa che accade nelle nostre vite ha un senso profondo e che crescere come esseri umani vuol dire proprio riuscire a capire questo senso, facendolo lievitare in qualcosa di più grande, di più alto, di più luminoso. La vita non è uno status quo da difendere con le unghie e con i denti, ma una condizione di continuo cambiamento, di cui, solo in parte, siamo responsabili. Ogni mattina, quando apro gli occhi, non so se arriverò alla sera o se ci arriveranno le persone a cui voglio bene. Siamo continuamente esposti all’impatto devastante del dolore, alla lacerazione del distacco, alla sofferenza delle persone amate. Proprio per questo, bisogna essere grati per ogni istante che ci viene donato, per tutte le cose, belle e meno belle, che avvengono nel corso dei giorni perché nel loro insieme costituiscono l’unicità del nostro cammino.
Sono anche profondamente convinta che ogni vita abbia la sua morte e che questi due eventi si illuminino di senso a vicenda. E che l’unicità della vita umana stia proprio nella capacità di creare rapporti d’amore. Qualche tempo fa, sono andata a trovare un’amica molto anziana ormai esasperata dall’essere ancora viva. «Dio si è dimenticato di me. Perché non muoio?», mi chiedeva. «Forse non muori perché devi ancora capire qualcosa», le ho risposto scherzosamente. «Forse perché quella pianta che hai sul davanzale domani fiorirà e tu rimarrai stupita dal suo colore, dalla bellezza che esploderà tra il grigiore dei palazzi». «Ma dov’è la misericordia di Dio?», ha incalzato lei. «Quella di Dio non lo so, ma so dove noi dobbiamo coltivarla. Nei nostri cuori».

GERLA O NON GERLA


Uno dei punti più deprimenti del Friuli è all'uscita dall'autostrada alla Carnia (località Amaro). Lo sanno i temerari che si sono azzardati ad aprire un centro commerciale proprio lì pensando che gli svincoli portino fortuna agli affari e che adesso stanno pensando a come smobilitare senza farsi troppo male. E' un non luogo non riqualificabile perchè, in quanto non luogo, è destinato a restare tale. Geniale quindi è l'idea della maxigerla, un monumento alla miseria che, se non fosse per i 500 mila euro, sarebbe perfetto in quanto a logistica e simbologia. Essendo di origine carnica, e quindi anima semplice, ho sempre ritenuto che - ma proprio per salvare il salvabile, - quella rotonda (prossimo basamento della prossima inquietante installazione) avrebbe dovuto essere ricoperta di fiori tipo genziane, gerani e margherite mentre l'area verde lì intorno avrebbe dovuto essere falciata con regolarità e magari trasformata in un bel prato dove in primavera spuntano i narcisi e i tulipani e in autunno i ciclamini e in estate forse anche la lavanda. E così un tizio che magari pensa di farsi un week end in Carnia o che che gli viene il ghiribizzo di passare per Tolmezzo per andare a Cortina, vedendo il prato fiorito e la rotonda piena di colori pensa di essere arrivato in un posto dove ci sono i fiori anche alla finestre, la gente è simpatica, si mangia bene e tutto il resto. Perchè funziona così. I simboli producono degli effetti stupefacenti, agiscono sull'umore e la percezione, predispongono a star meglio o peggio. Gerla? No, grazie.

25 gennaio 2009

DA PADRE A PADRE


Mentre la casa di cura Città di Udine decideva se aprire le porte alla morte di Eluana Englaro a 1.400 chilometri di distanza un padre scriveva a Beppino Englaro, l’uomo che da anni implora la morte per quella figlia inchiodata a un letto da 17 anni. In una lunga lettera aperta pubblicata sul quotidiano La Sicilia Carlo Alessi ha raccontato la vita accanto al suo “vegetale”. Giorgio, 21 anni, ex pallanuotista e grande tifoso del Catania con Eluana condivide la diagnosi medica. Coma irreversibile. Giorgio, racconta il padre, «non cede nemmeno di un centimetro», lotta, nel suo sonno interminabile, per afferrare la vita. Per questo Carlo Alessi ha voluto scrivere a Beppino Englaro e ha deciso di raccontare a Tempi la sua storia: «La morte non è una soluzione. È una sconfitta per tutti». Parole pronunciate prima che, venerdì scorso, la clinica di Udine rifiutasse di offrire le proprie strutture per uccidere Eluana e prima che ad offrirsi fosse la Casa di Riposo (!) La Quiete.

Signor Alessi, perché ha deciso di scrivere quella lettera a Beppino Englaro?

Perché vorrei che si comprendesse pienamente la vicenda di Eluana. Leggendo i giornali ho avuto l’impressione che molti parlino senza capire cosa significhi staccare il sondino. Mio figlio Giorgio da quasi sette anni è in coma apallico irreversibile. Si nutre e si idrata attraverso il sondino, la peg. Nel caso di mio figlio, e per quello che so anche in quello di Eluana, non ci sono terapie mediche che li tengono in vita, non c’è un coma farmacologico, quindi non si può parlare di accanimento terapeutico.

Che cosa è successo a suo figlio?
Il 7 febbraio 2002 un banale virus influenzale l’ha colpito al miocardio. Giorgio è andato in arresto cardiaco per 55 minuti. Abbiamo chiamato il 118, gli praticarono subito la respirazione artificiale e un massaggio cardiaco. Poi lo portarono all’Ospedale Garibaldi di Catania, per la rianimazione d’urgenza. Gli è stata somministrata un’iniezione di adrenalina al cuore e così si è ripreso. Ma la diagnosi è stata immediata e spietata. Coma apallico irreversibile.

Cosa successe dopo?
È seguito un mese di alti e bassi, tra lievi miglioramenti e peggioramenti improvvisi, finché non siamo riusciti a portarlo da uno specialista di Innsbruck. Lì stato lentamente “svezzato” dai farmaci e messo su una carrozzina. Ma il coma apallico, lo stato più grave, resta sempre tale. La vita di Giorgio è limitata, anche una semplice influenza per lui è rischiosa.

Che tipo era Giorgio prima della malattia?
Uno sportivo al cento per cento. Giocava a pallanuoto, in una squadra cittadina, “Muri antichi”. Era appassionato, generoso, affettuoso, estroverso. Frequentava il ginnasio ed era bravissimo. Amava i genitori, il fratello. Era religiosissimo, devoto alla Madonna.

Avete deciso di prendervi cura di Giorgio a casa. Perché?
Il fatto che vive con noi gli consente di sentire tutto il calore della famiglia, e di provare emozioni – l’unica porta che gli è rimasta con il mondo esterno – che abbiamo imparato a riconoscere. Giorgio riempie e rende viva la nostra vita con la sua forza, la sua tenacia. Ci ha riuniti, come non sarebbe successo altrimenti. Certo non è facile, ma sono felice della mia scelta.

Come vive oggi?
Quando io e mia moglie Alessandra siamo al lavoro e mio figio Paolo all’università, una tata, Agata, viene a prendersi cura di lui, insieme ad un infermiere che ci manda la Asl. Lo lavano, gli misurano la pressione e la frequenza cardiaca, gli controllano la peg. Poi gli vengono somministrati medicinali miorilassanti, perché nella sua condizione, soffre di elevata spasticità. Lo sbarbano, lo mettono finalmente sulla sedia a rotelle. A questo punto Giorgio fa colazione, latte e biscotti finemente tritati, e mangia dal cucchiaio, imboccato. È quindi il momento della prima seduta di fisioterapia, che dura 45 minuti, seguita da quella di logopedia, che gli serve per esercitare il riflesso della deglutizione. A pranzo, Giorgio mangia ancora per bocca, pastina e omogeneizzati. Al pomeriggio, assume l’acqua con la peg, poi ha una nuova seduta di fisioterapia. Dopo segue la tata Agata, Alessandra e Paolo quando rincasano, nelle loro attività. Se Agata lava i piatti in cucina, per esempio, lui sta sulla sedia a rotelle accanto a lei. Cena tramite il sondino, ma insieme a noi. Di notte è mia moglie a occuparsi di lui, anche se cerchiamo di fare i turni. Ha bisogno di essere girato nel letto per tre o quattro volte, alcune notti fatica a dormire e Alessandra gli resta accanto.

Sua moglie però continua a lavorare e a occuparsi della casa. Cosa la sostiene? Non ha mai avuto voglia di gettare la spugna?
No, mai. E nemmeno mio figlio Paolo, anche se ha solo 20 anni, ed è dovuto crescere più in fretta dei coetanei. È l’amore che ci unisce, a darci la forza, l’energia. Ci sosteniamo a vicenda: non tanto con le parole, ma con i gesti quotidiani. È solo un modo di affrontare la nostra vita, che è cambiata. Non ci manca l’ottimismo, l’allegria, perché pensiamo che può fare bene a Giorgio, e che così possiamo trasmettergli la voglia di vivere.

Che rapporto c’è tra Paolo e Giorgio?
Sono molto uniti, fin dai tempi in cui giocavano insieme a pallanuoto. Quando Paolo rincasa, alla sera, prende Giorgio con la carrozzina e lo porta vicino a sé, mentre guarda le partite del Catania, di cui entrambi sono tifosi, o mentre gioca alla PlayStation. È vero, Giorgio non “vede”, il suo cervello non può elaborare le immagini. Ma questo non significa che non esprima la sua gioia di stare insieme a Paolo.

Come capite che è felice?
Spesso Giorgio accenna dei sorrisi, ed emette dei suoni, dolci. E quando gli fa male la schiena, piange, con le lacrime, e i suoni diventano lamenti. Non è affatto un vegetale, malgrado quello che si legge sempre sulle persone in coma. Sa, a casa nostra è la speranza che ci sostiene.

Da dove nasce questa speranza?
Io credo che si possa proprio sperare, che le cose possano cambiare. Cento anni fa non c’era la corrente elettrica e 60 anni dopo eravamo già sulla luna. Ogni giorno vengono fatte nuove scoperte scientifiche e mediche: quindi per me è ragionevole sperare per mio figlio. Senza dubbio, ci aiuta anche la nostra indole, siamo ottimisti per natura. Ma è anche una scelta: io voglio trasmettere l’ottimismo e l’amore per la vita a Giorgio, a tutti e due i miei figli. A me in particolare, questo atteggiamento è dato dalla fede, che mi dà la forza di interpretare la vita con speranza. Perché la fede per me è questo: la speranza nella vita. Non credo certo ad una bacchetta magica, che guarisca Giorgio. Abbiamo imparato a vivere con i piedi per terra. Ma realisticamente si può sperare. E questo può essere condivisibile da qualsiasi uomo.

Accudire Giorgio ogni giorno non è semplice. Quali sono le principali difficoltà?
Anzitutto difficoltà di natura economica. Per Giorgio abbiamo cambiato casa: quella di prima, era al secondo piano, la carrozzina non entrava nell’ascensore e non passava dalle porte. Così ne ho fatta costruire una più a sua dimensione. La fisioterapia costa come i macchinari e la tata con competenze infermieristiche. Per fortuna all’assistenza notturna pensiamo noi.

Le istituzioni vi aiutano in qualche modo?

Gli aiuti sono ridicoli. Giorgio, come chiunque nelle sue condizioni, riceve circa 250 euro al mese per la pensione d’invalidità totale e circa 400 euro per l’accompagnamento. Alcune aziende ospedaliere forniscono l’assistenza domiciliare per la fisioterapia, ma solo per una seduta al giorno, mentre Giorgio ne necessita tre. Le altre due, per fortuna, posso pagarle io, ricorrendo ai privati. E finché il Signore mi darà la forza di mantenere questo menage, continuerò. Ma capisco che in altre famiglie, dove c’è anche il problema della propria sopravvivenza, la disperazione ha il sopravvento.

Cosa dovrebbe fare lo Stato?
Intervenire con aiuti economici più adeguati, concedere sgravi fiscali a chi assiste i propri cari a casa, fornire assistenza domiciliare sempre. Io credo che basterebbe questo per recuperare un po’ dell’ottimismo di cui parlo.

Lei è anche un avvocato. Qual è il suo parere sulla vicenda giudiziaria di Eluana?
Non contesto l’accertamento dei giudici della volontà di Eluana. Ma mi sconcerta la decisione di sospendere l’alimentazione. Da quello che ho letto credo che Eluana si trovi in condizioni simili a quelle di mio figlio. La peg serve solo ad alimentarli. I magistrati hanno emesso una vera e propria sentenza alla pena capitale.

La corte di Appello di Milano e la Cassazione hanno stabilito che le condizioni di vita di Eluana sono inconciliabili con la concezione di dignità della vita che Eluana stessa aveva…
La sentenza si è basata anche sulla relazione di consulenti medici. Che hanno parlato di accanimento terapeutico. Così hanno espresso una loro opinione, discrezionale, cioè nemmeno condivisa dalla comunità medica. Non hanno accertato quanto avviene di fatto, come avrebbero dovuto, cioè, ribadisco, che Eluana è solo alimentata tramite un sondino.

Lei ha chiesto di incontrare Beppino Englaro. Cosa vorrebbe dirgli?
Vorrei raccontargli quello che mi è accaduto e come ho affrontato i miei problemi. È un uomo che affronta le pene dell’inferno, lo comprendo bene. Da padre a padre, non lo giudico. Vorrei solo dirgli che è possibile una vita diversa. Si può reagire al coma. Si può sperare. Mi piacerebbe che lui prendesse parte a quello che viviamo noi.

Qual è il momento più caro vissuto con Giorgio?
Giorgio è fonte di gioia per me ogni minuto e ringrazio Dio ogni giorno. Ricordo sempre quando giocava a pallanuoto, come si arrabbiava quando non parava un tiro decisivo. Aveva un senso fortissimo della squadra e dell’amicizia. Per la sua passione per la pallanuoto, ho fatto costruire una piccola piscina, nel nostro giardino: c’è uno scivolo, per farlo scendere in acqua con la carrozzina, e d’estate fa lì la fisioterapia. Spesso facciamo con lui il bagno, abbracciandoci insieme per sostenerlo. Quello è per me il momento più emozionante, perché è come se tornasse il Giorgio di prima. Come quando facevamo tutti e quattro il bagno al mare.

23 gennaio 2009

HORROR/HONSELL


Il penoso caso è ormai smaccatamente ed orrendamente politico. La battaglia è tra le amministrazioni di sinistra (e relative strutture sanitarie) che si contendono il privilegio di poter dire: "L'ho fatto io!". Musica per le orecchie del sindaco di Udine che non vede l'ora che arrivino le televisioni nazionali a chiedergli se sarebbe presente al momento del trapasso. La Bresso gli contende la scena, qualcuno nel centro destra si pente per non aver scavalcato a sinistra la sinistra.
Macabracamente c'è da chiedersi se alla cerimonia funebre seguiranno lacrime o un drink.

22 gennaio 2009

LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA

La clinica "Quiete" di Udine è disposta ad accogliere Eluana Englaro. Lo ha detto stamattina Ines Domenicali, presidente diessina della casa di riposo, che non è convenzionata con il sistema sanitario nazionale. E' il secondo centro friulano che si dice pronto ad ospitare Eluana: prima era stata la clinica Città di Udine, che però si è tirata indietro dopo la direttiva del ministro del Welfare Sacconi.

L'entrata in scena della "Quiete", una struttura che attualmente ospita 450 lungodegenti, avviene dopo il botta e risposta tra la presidente del Piemonte Mercedes Bresso e l'arcivescovo di Torino Severino Poletto, sulla possibilità che Eluana venga ricoverata in una struttura piemontese.

Domenicali ha precisato che si tratta di un'ipotesi ancora in via di verifica: "Il sindaco ci ha interpellato, ho convocato informalmente il consiglio di amministrazione per decidere se verificare la nostra disponibilità, non si e' votato nulla e solo la prossima settimana lo faremo, dopo aver esaminato ogni aspetto della vicenda''.

Il presidente ha chiarito che la clinica non è "convenzionata con il sistema sanitario nazionale e quindi per noi non possono valere atti d'indirizzo come quelli del ministro Sacconi''. La "Quiete", inoltre, si limiterebbe all'ospitalità di Eluana, mentre le procedure per la sospensione dell'idratazione e dell'alimentazione avverrebbero con l'intervento di un'equipe di volontari.

"Ritengo opportuno che Udine possa dare una risposta giusta e civile a questa vicenda umana", ha detto il sindaco Furio Honsell, del Pd, a proposito della richiesta alla clinica. "Ci sono stati contatti, ma per ora non è arrivata alcuna risposta concreta", ha confermato la curatrice speciale di Eluana, Franca Alessio, che ha aggiunto: "Stiamo cercando di portare avanti la nostra richiesta, anche con altre strutture, ma in modo assolutamente riservato come è doveroso che sia".

E' l'ennesimo episodio della vicenda di Eluana, la ragazza in stato vegetativo da 17 anni e da tempo al centro della polemica dopo che il padre, Beppino Englaro, ha percorso tutte le vie legali possibili per permettere l'interruzione dell'idratazione e alimentazione artificiale. E oggi c'è stato un ulteriore passaggio, con l'udienza al Tar della Lombardia relativa alla richiesta di sospensiva del provvedimento regionale avanzata da Beppino Englaro. La Regione Lombardia, infatti, lo scorso settembre ha negato alle strutture sanitarie regionali di effettuare l'interruzione delle cure che tengono in vita Eluana.

Il legale della famiglia e la curatrice di Eluana hanno proposto "il rito breve" e il collegio ha deciso di procedere in questo modo, perché ha ritenuto che non ci sia bisogno di un'istruttoria. I giudici entreranno quindi nel merito, decidendo se annullare o meno il provvedimento, e il Tar depositerà la sua sentenza tra qualche giorno.

POLITICI PER SEMPRE, SENZA DONNE E CON ELETTORI SENZA SCELTA

Ho chiesto a un amico intelligente e studioso di sistemi elettorali che cosa ne pensasse dell'eliminazione delle quote rosa, dell'abolizione del voto disgiunto e dell'abolizione del limite ai mandati degli assessori e dei consiglieri regionali. Questa la risposta (che condivido):

1. Quote rosa: potrebbe essere condivisibile nel momento in
cui si inseriscono altre logiche premiali e/o punitive nei
confronti delle forze politiche che non favoriscono la
rappresentanza femminile nelle istituzioni. Messa così mi
sembra un'autoblindatura un po' troppo evidente... non
comprensibile se parliamo di liste elettorali, più
difendibile se parliamo di composizione della giunta, anche
se nel suo insieme mi da un senso di delusione

2. Voto disgiunto: serve a favorire i partiti a scapito dei
talenti individuali, coerente con tutto quanto ho scritto
sulle quote rosa

3. Democrazia è ricambio, almeno per me...

21 gennaio 2009

Dall'Emilia al Piemonte per morire a sinistra

Dopo tanti no, un sì. Il presidente del Piemonte Mercedes Bresso si è detta disposta ad accogliere Eluana in una struttura pubblica. "A noi non è stato chiesto niente e non ci offriamo, però se ci verrà richiesto, non ci saranno problemi. Ovviamente in strutture pubbliche - ha detto la governatrice - perché quelle private sono sotto scacco del ministro".

Il riferimento è alla disposizione di Maurizio Sacconi che ha vietato agli ospedali - pubblici e privati convenzionati - di interrompere l'alimentazione alle persone in stato vegetativo. Un gesto di aperta sfida al ministro del Welfare quello di Mercedes Bresso, tanto più che il presidente della Regione metterebbe a disposizione un ospedale che farebbe pagare l'operazione di interruzione dell'alimentazione alle casse pubbliche.

"Credo che da un presidente di regione non ci si poteva aspettare di più", ha detto il padre di Eluana, Beppino Englaro. "Bresso ha colto perfettamente la natura del nostro dramma". Sono sette mesi che la Corte d'appello di Milano ha accolto la richiesta del padre di Eluana di interrompere il calvario della figlia in coma da 17 anni. E sette mesi che le cliniche interpellate dalla famiglia Englaro respingono tutte la richiesta di ricovero. L'ultima è stata la Regione Veneto, ma prima c'erano stati gli hospice dell'Emilia Romagna e prima ancora una clinica di Udine che ha rifiutato per timore che infrangere l'ordine del ministro la costringesse a chiudere per sempre la struttura e licenziare 300 dipendenti.

Dopo la risposta del papà di Eluana, un nuovo commento della Bresso, affidato al suo sito: "Le parole di ringraziamento di Beppino Englaro rivelano il profondo aspetto umano di questa storia. E' nostro dovere stargli vicino. Ritengo che questa tragica storia di Eluana sia una questione non più sopportabile in un paese civile: viviamo in un paese in cui non si rispetta più neppure una sentenza della Corte di Cassazione e tutto diventa materia di lotta politica, anche i dibattiti sulle grandi questioni etiche o religiose".

QUOTE ROSA? ADIEU!


Et voilà! La valorizzazione delle donne, nella nostra Regione, passerà attraverso strade che non sono quelle della coercizione politica.
Sono finiti così i tempi (brevi) in cui i politici erano costretti, a liste chiuse, a ricominciare daccapo perchè si erano dimenticati di piazzare qualche donna.
E a quel punto iniziava la rincorsa a quelle che "non rompono le scatole" a quelle che "non creano problemi", che "non fanno casini", che "sono gestibili", che "sanno stare al loro posto". Che sollievo! Le lista potrebbero anche essere composte da soli maschi e nessuno avrebbe legalmente da che ridire. E basta anche con le donne in Giunta per legge. E gli uomini saranno sollevati dall'imbarazzante rischio di dover dire "voglio quella mia donna il lista" che suona ben diversamente dal rassicurante "voglio quel mio uomo in lista". L'uomo dell'uomo dell'uomo dell'uomo......

20 gennaio 2009


PAPA', LA LUNA CHE SPLENDE SULL' ITALIA
E' LA STESSA LUNA CHE SPLENDE SUGLI STATI UNITI

18 gennaio 2009

QUALE VITA? LA VITA


Ieri mattina Dorina se ne è andata: da chissà dove a chissà dove. Per dieci anni è stata altrove con un sondino che l'ha alimentata. E' stata coccolata, accudita, è invecchiata ed è tornata bambina. Per i medici, i figli e tutti quelli che l'hanno circondata sino alla fine si è trattato di un dolce e inevitabile accanimento amoroso.

COERENZA A SINISTRA

E così, un caso privatissimo come può essere quello in cui si dibatte di quello spazio sottile che divide la vita dalla morte, è diventato non solo pubblico (orrore!) ma politico (ORRORE!).
Tant'è che oggi, a farsi avanti per porre fine alla miseria di quel corpo senza vita (!), è coerentemente il laicissimo Errani, governatore dell'Emilia Romagna. Nel frattempo Sacconi è stato denunciato altrettanto coerentemente dai Radicali per aver minacciato la clinica udinese che stava per compiere il misfatto.
Tutto è rientrato politicamente nella norma e tutti, a questo punto, stanno facendo la loro parte.
L'intromissione di Udine emerge quindi come una vera anomalia politica: non quadra che una Regione governata dal centrodestra si sia impelagata in una vicenda così inquietante, che Sacconi sia intervenuto contro qualcuno della sua stessa maggioranza, che si sia fatto appello a un'amicizia con la famiglia per giustificare una scelta contraddittoria che va contro la maggioranza del proprio elettorato, che si sia trovata una struttura sanitaria disposta a farsi del male. La stampa locale militante non poteva non essere d'accordo con la scelta. Ma basta tutto questo a giustificarla? Per qualcuno era così importante acquisire crediti nei confronti di una testata giornalistica? O c'è dell'altro? Domande retoriche alle quali il tempo impedirà di dare una risposta.

Pensiero della domenica

Tutto è male quel che finisce male.

16 gennaio 2009

La clinica dice no

La casa di cura «Città di Udine» ha detto no: non è più disponibile ad accogliere Eluana Englaro per attuare la sentenza che autorizza la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione artificiale della donna, in stato vegetativo da 17 anni. A pesare sul passo indietro della struttura sanitaria sono state le polemiche scoppiate in questi mesi e le possibili conseguenze per l'annunciato intervento ministeriale.

LA NOTA - «Siamo costretti a ritirare la disponibilità ad ospitare la signora Eluana Englaro e l'equipe di volontari esterni per l'attuazione del decreto emesso dalla Corte d'Appello di Milano il 9 luglio 2008 e ratificato dalla Corte di Cassazione a sezioni riunite lo scorso novembre - ha reso noto la clinica 'Città di Udine' - per il "groviglio" di norme amministrative e la possibile sovrapposizione di competenze esistenti tra Stato e Regioni». «Gli approfondimenti condotti - è detto in un comunicato - portano a ritenere probabile che, nel caso si desse attuazione all'ospitalità della signora Englaro, il ministro potrebbe assumere provvedimenti che metterebbero a repentaglio l'operatività della struttura, e quindi il posto di lavoro di più di 300 persone, oltre che di quelli delle società controllate, e i servizi complessivamente erogati alla comunità». La Casa di cura di Udine, che si è detta rammaricata per quanto accaduto, ha reso noto di aver ricevuto attestati di stima praticamente da tutta Italia.

IL PADRE - «Rispettiamo la decisione contraria assunta dalla Casa di Cura Città di Udine dopo l'atto di indirizzo del ministro Sacconi - hanno dichiarato Beppino Englaro e l'avvocato Franca Alessio, rispettivamente padre e curatrice speciale di Eluana - e non abbiamo altro da aggiungere». Ma la battaglia continua: Alberto Defanti, il neurologo che da anni segue Eluana, ha affermato che si muoverà subito «in cerca di un'altra struttura».

L'INTERVENTO DEL MINISTRO - A pesare sulla decisione della casa di cura c'è dunque l'intervento del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che un mese fa bloccò il trasferimento di Eluana nella struttura sanitaria udinese dalla clinica di Lecco dove è ricoverata. Il ministro aveva definito 'illegale' la sospensione del trattamento di alimentazione e idratazione artificiale su pazienti in stato vegetativo nelle strutture del sistema sanitario nazionale.

15 gennaio 2009

Mah! Si! Forse! Vedremo! Chissà!

Il presidente della Regione FVG ha detto che la decisione o meno di accogliere la Englaro da parte della Casa di Cura Città di Udine - meglio nota come Policlinico - è un fatto privato (e Sacconi ha parlato tanto per parlare).
Regia volonterosa, interpretazione incerta.

14 gennaio 2009

IL MARKETING DELLA CASA DI CURA


Poniamo che la clinica Città di Udine avesse chiesto a uno studente del secondo anno di Pubbliche Relazioni che cosa ne pensasse, dal punto di vista della ricaduta d'immagine sull'azienda, dell'eventualità di accettare l'invito ad indurre la morte pilotata su una persona celebre (suo malgrado).
Lo studente, a cui i genitori hanno insegnato ad utilizzare il buonsenso e che agli esami tutto sommato se l'è cavata, certamente avrebbe risposto che non era il caso di infilarsi in un pasticcio del genere.
Il ragazzo, data l'inesperienza, non avrebbe saputo certamente degli intrighi politici, delle promesse tra parlamentari e proprietà, della confusione creatasi tra l'idea di essere degli evoluti e quella di essere dei conservatori oscurantisti, dei rapporti tra gli esecutori della volontà della celebrity e le cosiddette autorità.
Nonostante ciò avrebbe intuito che il rischio di trovarsi con le fiaccolate dei cattolici o degli atei dubbiosi (elettori) in viale Venezia o davanti alla trattoria del presidente o in piazza Unità a Trieste era piuttosto elevato.
Nel frattempo la proprietà della clinica, che furbescamente aveva girato la responsabilità alla Regione (alla luce del casino combinato da Sacconi che si era dimenticato di parlarne con Saro) sottovalutando che Ponzio Pilato è l'ispiratore dell'azione dell'attuale amministrazione, si era attrezzata con pareri legali (chi li pagherà?) oltre che con una squadra di medici volontari.
La vicenda sembrava potesse scorrere via liscia fino a quando non è stato reso pubblico che la morte pilotata sarebbe durata 15 giorni.
E' a quel punto che anche i più accaniti dei possibilisti hanno iniziato a dubitare che fosse quella la strada giusta, convinti com'erano che tutto si sarebbe risolto con la facilità con la quale normalmente si porta il gatto agonizzante dal veterinario.
Il futuro e giovane comunicatore a quel punto avrebbe consigliato alla clinica di dietreggiare anche perchè più d'un passante aveva iniziato a fare gesti scaramantici dopo aver fatto la spesa da Panorama. Non solo. Il giovanotto, che certamente smanetta sul Pc, avrebbe scoperto che su Facebook qualcuno aveva costituito un gruppo intenzionato a boicottare la clinica.
A quel punto avrebbe avvertito i tenutari della Casa di Cura che forse sarebbe stato meglio evitare sin dall'inizio di compromettersi in una vicenda così delicata che - quanto sarebbe stato imprudente quel ragazzo!!!! -, rischiava di trasformarsi in un boomerang per la clinica stessa:
sai tu che un tizio che doveva farsi un prelievo, o una tac o qualsiasi altro esame o farsi ricoverare, avesse pensato "No, lì proprio non ci metto piede"?
La situazione si è così rovesciata. La casa di cura, che pensava di fare una buona operazione di marketing (qualcuno DEVE aver detto: "vedrete che si parlerà di voi in tutta Italia, diventerete famosi e ci sarà la coda di malati pronti a farsi stecchire da voi") alla luce dei dubbi avanzati dallo studente avrebbero pensato che forse non era stata una grandissima idea e che, ascoltare i consigli dei politici, lo era stato ancor meno. Insomma, il ragazzo avrebbe detto - perchè i ragazzi sono schietti e parlano così - che dal punto di vista dell'immagine l'operazione si sarebbe tradotta in un terribile flop e che, per una casa di cura far passare l'idea che è una casa della non cura non sarebbe stata un'idea geniale.
Come se non bastasse, l'esecutore della volontà della giovane era andato da Fabio Fazio (ah! il fascino della televisione e la sua forza, il suo potere! Come resisterle?) a perorare la sua causa proprio mentre tutto sembrava traballare e forse, chissà, gli uscieri della casa di cura si erano accorti che i pazienti entravano con un certa circospezione o forse non entravano affatto.
Tutte queste cose lo studente, che da grande vuole fare il comunicatore, le avrebbe detto all'inizio di tutta la storia quando da Udine si era levato il grido "Da noi! Da noi!". E avrebbe detto che se si vuole restare sul mercato bisogna rispettare delle regole e che l'immagine non è acqua e che questa causa era persa, agli occhi dell'opinione pubblica, alla faccia della Cassazione e dei legali. Insomma, avrebbe consigliato di staccare i telefoni quando avrebbero chiamato i politici e di migliorare i servizi, di ridurre i tempi di attesa e tutte quelle cose lì che alla gente piacciono tanto e che sono anche piuttosto utili.
Udine non sarebbe apparsa sulla cronaca nazionale, il presidente della regione nemmeno, Sacconi non avrebbe dovuto spiegare niente a Kosic, la Cassazione avrebbe fatto il suo mestiere e i legali pure e forse un sano silenzio avrebbe giovato a molti.
Se invece di chiedere al ragazzotto qualche consiglio quelli della Casa di Cura li avessero chiesti a me, li avrei obbligati proprio al silenzio. Obbligati. Perchè il marketing, avrei detto, funziona così.

13 gennaio 2009

CHI HA PAURA DELL'ARTE CONTEMPORANEA?


Vale la pena soffermarsi sul destino di Villa Manin trasformata, durante la giunta la giunta Illy, in Centro d'Arte Contemporanea ed ora destinata ad accogliere l'arte più tradizionale e scontata (compresa quella dei mitici e rivoluzionari fratelli Basaldella ormai esposti, mirabilmente, in innumerevoli sedi internazionali).
Illy, che qualcosa di arte contemporanea ci mastica (quantomeno bevendola attraverso le tazzine del suo caffè), aveva - di fatto - sistemato due amici o stimati conoscenti: il più criticato dei critici Francesco Bonami (ora infilzato dai suoi colleghi a Palazzo Grassi per la discussa mostra Italians) e Sarah Cosulich, sveglissima figlia di quel Silvio che è stato uno dei grandi supporter del segaligno ex presidente. Due curatori, con gerarchie alternanti, ai quali è stato concesso di ospitare in quella che è la Villa veneta più bella e significativa del Friuli, i nomi più prestigiosi e altisonanti dell'arte contemporanea mondiale.

Piazzare Damien Hirsch o Tarashi Murakami (tra gli altri) in una villa veneta in mezzo ai campi è stata un'operazione rischiosa ma, chi si è avventurato sin là nel corso degli ultimi anni, ha potuto ammirare opere eccelse – discutibili per collocazione o contesto - contese dai maggiori musei e gallerie del mondo e in transito quantomeno dalla Serpentine di Londra al Museum of Contemporary Art di Los Angeles.

Il buonsenso diceva che non era immaginabile che la gente corresse in massa a vedere prodotti artistici complessi, a volte anche di discutibile interpretazione, in una Villa che è di per sè un'opera d'arte che di contemporaneo non ha niente. E infatti, ben pochi eletti hanno avuto l’intuizione e la fortuna di imbattersi in opere che probabilmente non vedranno mai più ma che, in un modo o nell'altro, hanno fatto girare il nome della nostra regione nei santuari della cultura internazionale.
L'investimento della Giunta Illy su Villa Manin non ha dato naturalmente risultati in termini di popolarità e di ritorno economico. Oltre alla logistica impossibile (un centro d'arte contemporanea è per sua natura un prodotto urbano!) ha certamente remato contro la sensazione che Illy abbia voluto giocare la carta dell'arte contemporanea in maniera autoreferenziale soprattutto per fare un enorme favore ai due curatori che oggi possono vantare nel resto del mondo (l'arte contemporanea è ben più integrata nell'oggi, degli impressionisti) un'esperienza e una buona familiarità con artisti forse discutibili, ma in vetta alla hit parade dell’arte contemporanea mondiale.
A chi è giovata quindi questa operazione? A Bonami e alla Cosulich, su questo non ci sono dubbi. Ma avrebbe potuto giovare anche agli abitanti della regione e alla loro sensibilità se Illy avesse fatto uno sforzo ulteriore facendo promuovere non solo le singole mostre ma soprattutto il Centro in quanto tale.
Il Mart di Rovereto (questo avrebbe potuto diventare Villa Manin se solo...) ha fatto, alla sua apertura, una delle campagne di comunicazione più sensazionali di cui si abbia memoria nel nostro paese. E oggi ci sono migliaia di persone che si arrampicano fino a Rovereto (paesotto sul cilio dall’autostrada del Brennero) per vedere il Mart prima (con un temerario intervento dell’architetto Botta), e le mostre che ospita poi. Lo stesso vale per il Castello di Rivoli di Torino, splendida location rivisitata per farne un centro culturale di prim’ordine.
Villa Manin Centro d'Arte Contemporanea, prudentemente privato anche di un intervento architettonico caratterizzante, è stato in questi anni un oggetto misterioso e soprattutto misconosciuto perchè non basta dire che sono esposte opere di Cattelan (tanto per citare l’artista più chiacchierato) per portare visitatori in un luogo che con Cattelan (sconosciuto ai più) non c'entra nulla.
La gente ha continuato ad andare a Villa Manin per vedere il piccolo letto di Napoleone e quasi sempre è rimasta frastornata davanti a opere d'arte così aliene rispetto alla residenza dogale.
Eppure. Eppure, se la Giunta Illy avesse operato con lungimiranza e senza troppa accondiscendenza nei confronti dei curatori (la vicenda delle cene con i Vip è, al confronto, chiacchiera da phonista), la regione potrebbe oggi disporre di un vero centro d'arte contemporanea perchè in questi anni Villa Manin, sia pur cripticamente, lo è stata nonostante si sia trattato di una destinazione per addetti ai lavori: non basta fare delle mostre di prestigio super elitarie per far diventare il luogo in cui si tengono una sede di culto per il resto del mondo.

Messa così si potrebbe dedurre che in realtà a Illy, sistemati i suoi amici e i potenziali decoratori di tazzine, del Centro d’Arte Contemporanea si sia interessato ben poco. Non si giustificano altrimenti alcune vistose lacune: non è mai stata sistemata una segnaletica stradale che indicasse il Centro, non sono stati considerati i collegamenti, non si è integrato il centro con il resto del territorio, non si è fatto sistema con il circuito culturale regionale e nazionale, ogni proposta di attività culturale parallela è stata vista con fastidio. Ed è stata questa noncuranza che ha consentito alla nuova Giunta di azzerare in un batter d’occhio questo investimento, certamente incompiuto, ma potenzialmente in grado di dare a questa regione un energico valore aggiunto.

Ci si sarebbe potuti aspettare un cambio di sede (opportuno), oppure una rimodulazione del progetto (sensato), una sostituzione dei responsabili (comprensibile) ma non una cancellazione così violenta di un lavoro che comunque ha coinvolto centinaia di artisti molti dei quali, lo si è detto, di indiscutibile e meritata fama.

Certo è, e qui sta il vero problema, che l’arte contemporanea è fortemente ideologizzata così come lo è tutto ciò che è sperimentale e d’avanguardia: dal teatro al cinema, dalla moda alla musica, dalla letteratura alla fotografia. L’equazione arte, cultura, sinistra, intellettuali, rimane granitica e sino a quando il centrodestra non affronterà questo problema dimostrando di avere le carte in regola per appropriarsi anche di quei mondi che ancora considera, scioccamente, perduti, accadrà che ogni amministrazione non di sinistra si attivi per eliminare tutto ciò che ritiene culturalmente e ideologicamente ostile. Invece di entrare in relazione con la cosiddetta “intellighenzia” il centrodestra la ignora e, lo stiamo vedendo, se possibile la elimina.

Ma tra uno scicchissimo e quotatissimo Cattelan che espone un cavallo o impicca fantocci o un Hirsch che mette le pecore in formalina e lo scontato e amabile dejeneur sur l’herbe ci sono infinite sfumature che corrispondono all’area in cui si crea il nuovo, si sviluppano movimenti, nuove tendenze: materiale potenzialmente pericoloso che è però la rampa di lancio della cultura dell’oggi e del domani. Il centrodestra è abilissimo nel cestinare artisti e movimenti e iniziative ma, sino a quando non si approprierà dello spazio culturale oggi colonizzato per mancanza di alternative, sarà costretto a procedere per eliminazione e sostituzioni sperando che, nel nostro caso, Cainero e il navigatissimo Goldin valgano bene una Villa.